Memorie
Israele. Ricordi suscitati dalla Risoluzione Unesco del 17 ottobre scorso
di Michelangelo Pisani Massamormile
Giunsi in Israele nell'estate dl 1971 e fui gradevolmente sorpreso della particolare attenzione riservata a noi dell'Ambasciata rispetto ai Colleghi di altri Paesi " concorrenti". In effetti allora la Francia rappresentava il Grande Amore tradito, la Gran Bretagna la Potenza contro la quale era stata vinta l'indipendenza, la Germania meglio non parlarne, gli Stati Unii, il Protettore da rispettare più che corteggiare.
Incontrai il Collega Sergio Minerbi (sarà Ambasciatore a Bruxelles presso la Comunità Europea e poi Professore di Storia nell'Università di Gerusalemme). Ci eravamo conosciuti anni addietro quando entrambi eravamo a New York, Primi Segretari, nelle rispettive Rappresentanze Permanenti presso l'ONU. Sedevamo in seconda fila, l'uno accanto all'altro, nelle Commissioni delle quali seguivamo i lavori. Mi raccontò il motivo della decisione di lasciare Firenze e la Famiglia benestante per un Kibbutz, isolato e pericoloso. Il Padre aveva partecipato alla prima Guerra Mondiale. Per un atto di eroismo aveva ottenuto la Medaglia d'Argento al Valor Militare dalla quale le Leggi Razziali lo privarono.
Quando venne in visita il nostro Ministro degli Esteri, Giuseppe Medici, la Delegazione includeva due figli di Personalità fasciste. Nei loro confronti nessun rancore anzi il riconoscimento di alcuni aiuti ricevuti.
Al tempo del nostro rincontro Minerbi stava indagando sulle prime espressioni dell'anti sionismo. In Italia era riuscito a scovare solo una dichiarazione di alcuni giovani per preservare la presenza francescana in Terra Santa. Minerbi non mancava occasione per citare episodi di solidarietà negli anni del Genocidio. Uguale riconoscimento ottenevo da altri Colleghi e Interlocutori. Tutti però aggiungevano che quello che avevamo fatto nel 70 era crudele ed infame.
Durante il mio servizio a New York cominciarono a circolare progetti di risoluzioni per equiparare il sionismo al nazismo. Allora le istruzioni erano di opporci. Pensai che col passare degli anni la nostra posizione fosse mutata e che in uno di tali progetti, forse proprio all'Unesco, ci fossimo astenuti. Per evitare imbarazzo cercavo di non raccogliere il riferimento e di cavarmela con un sospiro ed un a smorfia di rincrescimento. Ma quel richiamo al 70 si faceva più frequente. Decisi un giorno che dovessi affrontare il confronto e chiesi " Ma cosa esattamente vi abbiamo fatto l'anno scorso? " L'interlocutore fu sorpreso dalla domanda "L'anno scorso? Stavo parlando di quando Tito distrusse il Tempio". Qualche tempo dopo accompagnai l'Ambasciatore, Vittorio Montezemolo, in visita da Ben Gurion e gli raccontai l'episodio. Prima delle parole rispose con una contrazione del viso che esprimeva l'umiliazione per la Diaspora sofferta per duemila anni.
Intanto il tempo correva. La crisi petrolifera si avvicinava. Era stato negoziato e pronto per la firma un accordo di Cooperazione culturale tra l'Italia ed Israele. A Roma ci si preoccupava di non urtare la suscettibilità araba. Si invitò l'Ambasciatore a prendersi un breve congedo. L'accordo lo avrei firmato io come Incaricato d'Affari. L'accordo avrebbe assunto così un significato tecnico e minore rilievo. La cerimonia della firma fu invece solenne. Intervenne il Ministro degli Esteri, Abba Eban, che pronunciò un corposo discorso: Certo duemila anni prima Tito ci aveva diviso, ma durante i duemila anni Roma ci aveva unito. Il Ministro si augurava che avrebbe continuato a farlo. Vorrei che l'augurio possa invertire quel voto espresso " in automatico" all' Unesco sul Monte del Tempio a Gerusalemme.
Napoli, 23 ottobre 2016