Memorie




In ricordo di Gianfranco Verderame

di Roberto Nigido

Dopo la scomparsa di Gianfranco Verderame sono giunti al Circolo di Studi Diplomatici numerosissimi messaggi di cordoglio: rispondevano al triste annuncio del Circolo che comunicava la perdita del suo Presidente e chiedevano di rappresentare alla sposa di Gianfranco, Silvia, e ai figli Pierluigi e Francesca la commossa partecipazione dei soci al loro dolore. Vorrei ricordare solo poche ma significative espressioni contenute in alcuni di questi messaggi, tutti unanimi nel ricordare con affetto e rispetto le qualità umane e professionali di Gianfranco.
“La sua scomparsa è una grande perdita per il Circolo e per ciascuno di noi”. “Un collega generoso, affettuoso e di grande umanità”. “Protettivo, dedito, amava il mondo con i suoi modi semplici, diretti, profondamente onesti”. “Una perdita che sentiremo moltissimo per la sua preziosa amicizia e la grande lucidità intellettuale”. “Le sue forti convinzioni ideali lo portavano a perseguire con coraggio e tenacia gli obiettivi politici in cui credeva, primo tra tutti quello dell’unificazione europea”. “Era l’espressione di un Meridione serio, rigoroso, asciutto e responsabile, che guarda all’Europa come l’opportunità per avere ragione delle illusioni a buon mercato”. “Il miglior modo per averlo sempre tra noi è quello di continuare con rinnovato vigore a dare impulso all’azione del nostro Circolo”. Mi ha colpito particolarmente il messaggio che mi è pervenuto da un mio amico personale, che è stato tra i medici che l’hanno assistito e che, da affezionato lettore delle pubblicazioni del Circolo, era grande ammiratore degli scritti di Gianfranco: “Pur avendolo conosciuto per pochissimo avevo avuto modo di apprezzare la sua eleganza e la sua signorilità. Non gli ho mai sentito fare un gemito o una rimostranza. Un grande se ne va”.
Sì, anche per me Gianfranco è stato un grande: un grande collega, un grande e fraterno amico, un grande europeista e un grande Presidente del Circolo di Studi Diplomatici. Con lui ho condiviso, in lunghi anni di lavoro e impegno congiunto, le stesse visioni su aspetti di politica estera che abbiamo ritenuto fondamentali per il futuro dell’Europa e per il benessere e il successo del nostro Paese. Questo scritto è per me l’occasione per esprimere a Silvia la mia commossa ammirazione per Gianfranco e l’affetto mio e di mia moglie Mera per lui e per la sua sposa. Ci eravamo incontrati alla fine degli anni ‘70 al Ministero, ma ci siamo conosciuti meglio a Bruxelles, e fraternizzato insieme alle nostre famiglie, nella seconda metà degli anni ‘80 quando prestavamo servizio alla Rappresentanza Permanente presso le Comunità Europee sotto la direzione intelligente, esperta e ferma di Piero Calamia, grande maestro sia per Gianfranco che per me. Erano anni cruciali per l’integrazione europea, nei quali si decisero le regole del mercato interno senza frontiere e si posero le basi per il successivo passaggio all’unione monetaria: anni di grandi entusiasmi e di grandi realizzazioni concrete, ma anche di grandi fatiche nei lunghi ma produttivi negoziati nei quali eravamo impegnati. Riprendemmo subito dopo a lavorare insieme al Ministero, come responsabili delle questioni europee, Gianfranco nella Direzione Generale Affari Politici, e io in quella degli Affari Economici.
Il mercato interno Gianfranco lo ritrovò pochi anni dopo sempre a Bruxelles nei primi anni ‘90, quando era Capo di Gabinetto del Commissario Europeo incaricato di quel settore, Raniero Vanni d’Archirafi, nostro collega più anziano e grande amico di entrambi noi che lo avevamo avuto come diretto e amato superiore, a Madrid Gianfranco, e al Ministero io. La Commissione dava allora attuazione concreta alle norme destinate a consentire la libera circolazione dei prodotti all’interno del territorio delle Comunità Europee, mediante regolamentazioni che furono da alcuni (soprattutto britannici) superficialmente criticate come eccessivamente puntigliose, ma senza le quali il mercato interno non avrebbe potuto funzionare correttamente e senza tensioni gravi tra i produttori e tra gli Stati Membri. Io seguivo questi sviluppi dal Ministero; dove riprendemmo a lavorare insieme più da vicino quando Gianfranco era stato nel frattempo nominato Vice Capo di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri: quando preparava i progetti dei discorsi del Ministro, se vertevano sull’Europa, mi consultava regolarmente. Ho imparato ad ammirare già allora la rapidità e la scioltezza con cui Gianfranco redigeva, così come l’efficacia del suo ragionamento e l’eleganza del suo stile da raffinato intellettuale napoletano nutrito di cultura filosofica e giuridica.
Alla fine degli anni ‘90 partimmo quasi contemporaneamente per le nostre prime sedi come Capi Missione. A Gianfranco furono assegnate sedi molto impegnative anche sul piano personale e familiare oltre che politicamente complesse. A Budapest Gianfranco ebbe modo di conoscere Orban, che stava preparando la sua conquista del potere in Ungheria da posizioni conservatrici oltranziste e sovraniste. E si rese conto già allora dei pericoli ai quali sarebbe andato incontro il progetto europeo se avesse incluso, come poi ha fatto, nuovi Paesi Membri che avevano sperimentato cinquanta anni di regimi illiberali. In Algeria Gianfranco ha vissuto insieme a Silvia i postumi della lunga e sanguinosissima guerra interna scatenata dagli islamisti dopo la soppressione dei risultati delle elezioni del 1992 da parte del Governo retto dai militari: guerra che si è finalmente conclusa con la vittoria di questi ultimi. Sono state così risparmiate agli algerini e soprattutto alle algerine la primitività e la brutalità di leggi fondate sul fanatismo islamico. Ma il prezzo che gli algerini stanno pagando è quello del perpetuarsi del regime militare. Mentre io ero nuovamente a Roma dopo Buenos Aires nella seconda metà degli anni 2000, Gianfranco era Direttore Generale per le Americhe. Abbiamo così sofferto insieme l’ultima coda del tormentone dei “tango bonds”: una pagina di storia molto triste sia per i rapporti italo-argentini che per i danni che la disinvoltura di alcune banche italiane aveva fatto già allora ai nostri risparmiatori.
Non posso concludere questa breve carrellata sulla storia professionale di Gianfranco senza menzionare Vancouver, dove fu Console Generale nei primi anni ’80. Quando fui nominato in Canada molti anni dopo, scoprii che Vancouver era posto particolarmente difficile per qualsiasi Console, a causa della rissosità tra due fazioni di italiani costantemente in lotta tra di loro. Nessuna novità, mi direte, né in Italia né all’estero. A Vancouver però la rivalità era più marcata e duratura che in altre collettività all’estero e non vi erano ragioni storiche che la spiegassero. Trovai una possibile spiegazione in una leggenda che alcuni vecchi italiani del Canada raccontavano. Quando James Cook sostò a Vancouver nel 1778, fece sbarcare due marinai di origine italiana che si erano arruolati nella Royal Navy: a bordo litigavano costantemente tra di loro mettendo in pericolo la nave. I due marinai continuarono a litigare anche dopo essere stati sbarcati; e così fecero tutti i loro discendenti. Il Console d’Italia a Vancouver ha un compito che richiede grande abilità personale e perizia professionale: deve cercare di limitare i danni che le due fazioni possono farsi reciprocamente, senza mostrare preferenze e senza inimicarsi l’una o l’altra delle due parti. Gianfranco fu perfetto: per l’equilibrio, il buon senso, la pazienza e l’umanità del suo temperamento.
Dopo la pensione riprendemmo il vecchio sodalizio, questa volta al Circolo di Studi Diplomatici. Insieme a Adriano Benedetti ci fu affidato dai soci, su suggerimento di Ferdinando Salleo, Luigi Cavalchini e Franco Corrias, l’incarico di portare avanti il progetto, da loro avviato nel 2008, di rafforzamento operativo e risanamento finanziario del Circolo: progetto che Gianfranco, insieme a Maurizio Melani e Paolo Casardi, ha portato a compimento. Ma il risultato rimane fragile e la sostituzione di Gianfranco è ovviamente molto difficile. Gianfranco non potrà commentare insieme a noi, come gli era stato richiesto dall’Associazione Diplomatici a Riposo nella quale si era ugualmente impegnato, i risultati delle elezioni europee che si terranno tra pochi giorni. Ma sono convinto che penserebbe come me che questa Europa va preservata. Certamente va anche migliorata e completata. Ma non si può cambiarla radicalmente, se non a rischio di distruggerla. Perché non esiste la possibilità di creare un’altra Europa. Quella che abbiamo è l’unica Europa che in settanta anni gli europei siano riusciti faticosamente ma intelligentemente a costruire: un esempio unico nel mondo di libertà, legalità, tolleranza, buon senso e visione innovativa sul futuro. Come Gianfranco non si stancava di spiegarci.

 

Roma, 21 maggio 2019