Memorie
Life is Moments
di Daniele Verga
Un adagio inglese recita: “life is moments; this is one”.
Fra i tanti momenti impressi nella memoria della mia lunga vita diplomatica, alcuni sono legati alle personali esperienze balcanico-mediterranee.
10 novembre 1975. Nell' austera Sala d' Armi della verdeggiante villa Leopardi Dittajuti a Monte San Pietro di Osimo fu firmato il Trattato di Osimo con il quale chiudemmo (non senza dolorose rinunce) il complesso e tormentato contenzioso postbellico con la Jugoslavia di Tito in nome del nuovo clima tra Est ed Ovest avviato con l'Atto Finale di Helsinki sulla CSCE, firmato il 1° agosto 1975 e di cui il predetto Trattato fu la prima pratica applicazione. Ero presente anch'io nel tardo pomeriggio di quel lunedì di novembre all'evento per assistere, allora giovane diplomatico del Servizio Stampa e Informazione del Ministero degli Affari Esteri, il Capo del Servizio, Ambasciatore Bottai, per le esigenze dei giornalisti presenti.
Firmarono i due Ministri degli Esteri, Mariano Rumor e Miloš Mini?. Al termine della cerimonia e del successivo pranzo – a sera inoltrata – incarrozzamento delle due delegazioni per l'aeroporto di Rimini ove erano in attesa i due aerei speciali, l'italiano (un DC 9) e lo jugoslavo. Scambio di saluti, dopodichè le due delegazioni salgono sul rispettivo aereo. Il DC 9 avvia i motori e comincia a rullare sulla pista in attesa, per cortesia, che l'aereo jugoslavo decolli per primo. Ed ecco che avviene l'imprevisto: i motori dell' aereo jugoslavo non si accendono malgrado i ripetuti tentativi. Momenti di incertezza, di sconcerto: nulla era stato predisposto dal Cerimoniale per un eventuale pernottamento in zona della delegazione jugoslava. Informato di cosa stesse succedendo, il Ministro Rumor si offre subito di accompagnare con il proprio aereo il collega e la delegazione jugoslava a Belgrado. Immediatamente il comandante del DC 9 inizia le procedure per ottenere le necessarie clearances e la delegazione italiana già prevede un rientro a Roma ad ora antelucana. All'improvviso avviene il miracolo: con qualche 'starnuto' i motori dell'aereo jugoslavo riescono ad accendersi e finalmente i due velivoli decollano per le rispettive destinazioni. Esultanza nella delegazione italiana (e forse anche in quella jugoslava) per lo scampato fuori programma!
Da quel finale movimentato ne trassi un prezioso insegnamento: nell' organizzazione di un evento occorre prevedere anche l'imponderabile, perchè talvolta l'imprevisto avviene quando l'evento è terminato e si sta tirando un sospiro di sollievo. Anche a questo deve saper far fronte il diplomatico!
8 maggio 1980. Funerali a Belgrado di Tito, deceduto il 4 maggio a Lubiana. Primo Segretario all'Ambasciata a Belgrado dal dicembre 1977 all'ottobre 1980, ho il ricordo ancora vivido di un Paese ammutolito e della visione impressionante di una città deserta, senza alcun rumore, senza traffico, senza mezzi pubblici in circolazione, con negozi rigorosamente chiusi, ogni attività interrotta: soltanto una folla immensa di persone silenziose e partecipi lungo il percorso del corteo funebre. Imponente il numero ed il livello delle delegazioni straniere presenti: 4 sovrani, 31 presidenti, 6 principi, 22 primi ministri e 47 ministri degli esteri da 128 Paesi, tra cui Indira Gandhi, Margaret Thatcher e Willy Brandt. L'Italia era rappresentata dal Presidente Pertini e dal Presidente del Consiglio Cossiga. La foto del Presidente Pertini che rende omaggio a Tito posando una mano sulla bara nel salone d'onore del Parlamento jugoslavo fu riportata da tutti i media jugoslavi e figura con risalto centrale nella pubblicazione sulle esequie del Presidente Tito edita dalla Presidenza della RSF di Jugoslavia. Il Presidente jugoslavo è sepolto a Belgrado nel mausoleo Ku?a Cve?a (La casa dei fiori) a lui dedicato sulla collina di Dedinje; ricordo le file ordinate e silenziose di decine e decine di migliaia di jugoslavi che nelle settimane e mesi successivi sfilarono incessantemente a Ku?a Cve?a per salutare il Maresciallo Josip Broz: senz'altro con la regia attenta e collaudata dell'apparato del regime e del partito comunista jugoslavi, ma con commozione sincera e con il sentimento premonitore di un futuro pieno di incognite per l'allora autorevole e potente Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia.
La sera del 7 maggio, vigilia della cerimonia funebre, ci vollero tutta la pazienza, l'autorevolezza e le capacità persuasive dell' Ambasciatore d'Italia a Belgrado, Alberto Cavaglieri, per dissuadere il Presidente Pertini dal suo proposito di ritornare a cena nel famoso ristorante tipico “Tri sesira” (Tre cappelli) a Skadarlija, il caratteristico e bohemien quartiere della 'movida' belgradese, ove egli aveva trascorso una piacevole e simpatica serata (era solito ricordare la zingara che gli aveva letto la mano) nell'ottobre precedente in occasione della visita di Stato compiuta in Jugoslavia (fu l'ultimo Capo di Stato ad incontrare ufficialmente Tito). Pertini alla fine si convinse – anche perchè a Skadarlija non avrebbe ritrovato l'ambiente, il folklore, ed il ristorante aperto! - seppure con una punta di evidente delusione.
La lunga agonia del Presidente Tito era iniziata il 12 gennaio 1980. Quella sera durante un pranzo informale dal collega austriaco Christian Berlakovits (in seguito brillante Ambasciatore a Roma) appresi da 'fonti amiche' e prima che la notizia venisse battuta dalle agenzie di stampa che il Presidente Tito era stato ricoverato all'ospedale militare di Lubiana per problemi circolatori aggravati, qualche giorno dopo, dall'amputazione della gamba sinistra. In quel periodo le relazioni tra Roma e Belgrado attraversavano una fase di intenso, proficuo sviluppo – suggellate dalla ricordata visita di Stato che il Presidente Pertini aveva effettuato nella Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia soltanto qualche mese prima a fine ottobre 1979 – e Roma era particolarmente interessata alle vicende balcaniche anche in considerazione della collocazione geo-strategica ed ideologica di Belgrado e del peso della Jugoslavia sulla scena internazionale in qualità di co-fondatore e membro autorevole del movimento dei non-allineati. Corsi all'apparecchio telefonico del mio ospite (a quei tempi non esistevano i telefonini) ed informai immediatamente l'Ambasciatore Cavaglieri della notizia ricevuta in via confidenziale, assicurando sull'attendibilità della mia fonte. Dovetti superare la sua iniziale, comprensibilissima cautela, ma riuscii a convincerlo – e gli sono tuttora affettuosamente grato per la fiducia accordatami nell'occasione –, che provvide ad allertare la Segreteria Generale della Farnesina poco prima che la notizia fosse diramata dalle agenzie stampa. Nulla di eccezionale, ovviamente; soltanto la soddisfazione di dimostrare che l'Ambasciata d'Italia a Belgrado 'stava sulla palla'. Che è poi quello che viene richiesto ad una Sede diplomatica.
29 ottobre: Festa della proclamazione della Repubblica Turca (1923), denominata 'Cumhuriyet Bayrami'.
Ricordo che ad Ankara – vi prestai servizio come Ministro Consigliere negli anni 1996 – 1999 - per le celebrazioni ufficiali della Festa nazionale, pur se il Protocollo turco prescriveva che i Capi Missione accreditati indossassero il frac, l'Ambasciatore d'Italia era uno dei pochissimi a partecipare con un elegantissimo e tailored frac con decorazioni. L'Ambasciatore Michelangelo Pisani Massamormile e poi l' Ambasciatore Massimiliano Bandini con il loro signorile 'physique du rôle' rappresentavano autorevolmente l'Italia con evidente apprezzamento delle autorità turche e qualche malcelata occhiata di ammirazione e di invidia dei colleghi stranieri...
Eh sì, perchè esiste – o per meglio dire sussiste - uno stile diplomatico anche nel vestire. Nessun' altra carriera ha norme così rigorosamente codificate per quanto riguarda l'abbigliamento; pur se, occorre riconoscere, anche in questo campo i tempi si sono evoluti e le consuetudini protocollari sono andate progressivamente semplificandosi.
Oggi frac (o marsina), tight per lui, abito da gran sera, cappello, guanti per lei sono capi indossati da una sempre più ristretta cerchia di 'arbiter elegantiarum' ed in ben determinate occasioni. Il frac continua ad essere prescritto per la presentazione delle credenziali da parte dei nuovi Ambasciatori al Sommo Pontefice ed alla Regina d'Inghilterra e, forse, presso altre Corti nord europee. E spesso il frac è noleggiato per l'occasione presso atelier per costumi teatrali... La divisa diplomatica con la mitica feluca (che simboleggia gli appartenenti alla Carriera) è ormai riposta gelosamente negli armadi o nella vetrinetta di qualche anziano diplomatico o di un suo discendente. D'altra parte, quanti ancora usano inviare il cartoncino d'invito (rigorosamente scritto a mano in corsivo con inchiostro color seppia ed in bella calligrafia!) per colazioni o pranzi e quanti sanno che la prescrizione del frac può essere indicata con 'cravatta bianca', mentre la prescrizione dello smoking può essere indicata con 'cravatta nera'? E quanti rispettano l'etichetta che richiederebbe l'abito bleu scuro e la camicia bianca per i pranzi formali?
Anche se taluni usi possono sembrare anacronistici e datati ogni diplomatico sa – o dovrebbe sapere – che nella nostra Carriera la forma, l'aspetto formale è anche sostanza.
18 febbraio 2015
Daniele Verga