Memorie



Ricordo di una cerimonia

di Massimo Spinetti

Non è facile trovare, in quasi 43 anni di servizio, un episodio che più degli altri meriti di essere evocato, ma ho voluto fare uno sforzo.
Vorrei qui ricordare un momento che mi ha fatto tornare indietro nel tempo, prima a quello della scuola e poi a quello dell’infanzia.
Mio padre, che morì quando avevo solo 10 anni, ne aveva 60 quando io nacqui ed aveva combattuto nella prima guerra mondiale come fante, sul Monte Pasubio. Tra i ricordi che ho dell’infanzia c’è il momento in cui mi mostrò la medaglia al valor militare che aveva ricevuto per come aveva servito la Patria  e quello  in cui mi disse quanto fosse stato difficile per lui sparare sugli soldati austro-ungarici, nemici in quella guerra ma che avvertiva vicini per tanti valori comuni che li univano a noi, valori che aveva ritrovato spesso nel loro comportamento leale e cavalleresco. Ricordo in particolare di quanto mi parlò dell’effetto che fece su di lui e sugli altri soldati impegnati sul fronte alpino la notizia della disfatta di Caporetto.
Ebbene, la carriera mi ha portato ad essere Ambasciatore in Slovenia ed a partecipare in tale veste nel 1997 alla cerimonia dell’80° Anniversario della battaglia di Caporetto, tenutasi nella località omonima. Fu una cerimonia che per me, proprio per questi ricordi, fu commovente prima ancora che iniziasse, perché nella mattinata andai a rendere omaggio ai nostri caduti nella Prima Guerra Mondiale nel Sacrario Militare Italiano della cittadina slovena, dove nell’ossario si trovano i resti di oltre 7.000 soldati.  
La cerimonia invece, organizzata dalle Autorità slovene, ebbe luogo nel pomeriggio. Secondo il programma inviato vari giorni prima dal Ministero degli Esteri di Lubiana, non erano previsti interventi degli Ambasciatori invitati e quindi non preparai nessun discorso, ne’  portai con me alcun collaboratore di madrelingua slovena, dato che ero in grado di comprendere gli interventi in tale lingua. Ma … accadde un imprevisto: l’Ambasciatore d’Austria durante la cerimonia chiese la parola e pronunciò un discorso in tedesco, che fu tradotto per i presenti da un suo collaboratore di madre lingua slovena che lo accompagnava. Mi chiesi a questo punto se non fosse stato opportuno anche un mio intervento e, dopo aver pensato ai suoi contenuti, mi chiesi in quale lingua lo avrei dovuto eventualmente pronunciare. Scartai in partenza l’italiano, per le sensibilità locali legate al periodo tra le due guerre mondiali in cui la regione isontina era stata annessa al Regno d’Italia ed in cui era stato imposto prima l’uso dell’italiano e poi, nel periodo fascista, il divieto di esprimersi in lingua slovena. Scartate anche inglese e francese in quanto del tutto avulse dal contesto, mi orientai per il tedesco, che per lo meno era la lingua ufficiale del luogo al momento della battaglia. 
Ma intervenne un altro colpo di scena. Gli Ambasciatori della Repubblica Ceca e di Croazia, mentre parlava l’Ambasciatore d’Austria, avevano chiesto anche essi la parola e parlarono direttamente in sloveno, facilitati evidentemente dalla comune appartenenza delle tre lingue al ceppo slavo. A questo punto mi resi conto, con un po’ di sgomento, che il mio intervento in sloveno era una necessità e chiesi quindi la parola.
Iniziai a dirigermi verso il palco da dove avrei dovuto rivolgermi ai presenti, circa un migliaio se ricordo bene, non poco preoccupato, visto che mai avevo dovuto tenere discorsi in pubblico a braccio in tale lingua. Salii sul palco riservato agli oratori ed iniziai a parlare; ricordo che, iniziando la prima frase dopo i saluti, mi chiesi se avrei trovato anche le parole per finirla. E questo dubbio mi sfiorò anche nelle frasi successive, ma per fortuna le parole arrivarono felicemente sulla mia bocca. Quando terminai riferendomi a quell’ideale europeo al quale tutti i Paesi che avevano preso parte alla battaglia di Caporetto ormai si rifacevano, avendo sentito applausi non meno intensi di quelli che avevano seguito i precedenti interventi, mi sentii davvero sollevato. Solo il giorno dopo mi resi però conto che avevo affrontato il momento con una certa incoscienza e che mi ero esposto ad un grosso rischio, data anche la delicatezza del tema dove una parola usata male avrebbe potuto adito a forti polemiche.
Ma tutto è bene quel che finisce bene e fui felice di aver dato ai presenti, attraverso l’uso della loro lingua, l’immagine di un rappresentante dell’Italia interessato a conoscere le tradizioni della Slovenia, diversa da quella che davano spesso i giornali locali nel ricordare i tempi della nostra dominazione su quelle terre, tempi resi ancora più foschi dalla dura repressione italiana della resistenza all’occupazione nel 1941 della Provincia di Lubiana.
Ma quello che mi rese più felice fu che, senza rendermene conto, avevo interpretato le parole di mio padre pronunciate in quel momento in cui mi aveva detto che, al di là delle situazioni del momento, tra i Paesi impegnati nella Grande Guerra non c’era una vera inimicizia. E di quanto avesse ragione avrei avuto poi conferma nella mia ultima sede, Vienna, dove sentii che come sinonimo di Italia veniva
a volte usata l’espressione “il nostro vicino più amato”.
       

 

Massimo Spinetti