Memorie



Ricordo di Mino Martinazzoli

di Paolo Foresti

Era l'estate del 1989 quando, su indicazione del comune amico Gilberto Bonalumi, Mino Martinazzoli, appena nominato Ministro della difesa, mi chiamò come suo consigliere diplomatico. Non amava l'apparato militare, frutto anche di una sua scarsa conoscenza e di qualche pregiudizio, e voleva qualcuno di fiducia che gli facesse da tramite e in qualche misura da filtro.
Certo non ero immune neanch'io da qualche pregiudizio, ma avevo imparato a conoscere ed apprezzare i vertici militari nella consuetudine di una frequentazione professionale.
Iniziò così un'anomala collaborazione che portò entrambi in capo ad un anno ad abbandonare i pregiudizi e valutare con occhi diversi la funzione delle nostre Forze Armate. Tuttavia i rapporti di Martinazzoli con quella struttura non furono mai semplici.
Martinazzoli era un uomo leale e diretto ma estremamente introverso e sospettoso. I suoi modi bruschi, rivelatori di un'innata timidezza, non incoraggiavano il dialogo. Impegnato su più fronti aveva sempre i minuti contati: Ciononostante, voleva sempre sapere tutto e capire tutto. Spesso il capo di gabinetto, un eccellente generale ed un grande gentiluomo, mi chiamava in aiuto quando doveva sottoporgli decisioni particolarmente delicate. L'acuta intelligenza e la grande sensibilità l'aiutarono a superare quella barriera culturale che l'opponeva al mondo militare. Quello che non sempre riuscì a superare fu invece la sua avversione al mezzo aereo e considero ancora oggi un mio personale grande successo l'essere riuscito a portarlo persino negli Stati Uniti.
La sua intelligenza analitica gli consentiva di percepire in anticipo, uscendo dagli schemi, quello che gli altri non riuscivano neanche ad intuire. Fu così che dell'autunno del 1989 quando cadde il Muro di Berlino – e con esso l'ultima grande ideologia del secolo indissolubilmente legata all' Unione Sovietica – anziché esultare ed enfatizzare i cosiddetti dividendi della pace , come fece il popolo dei commentatori preso dall'euforia del momento, si lanciò a prevedere un mondo assai più instabile e meno sicuro.
Il cosiddetto equilibrio del terrore aveva assicurato una gestione delle crisi regionali e sostanzialmente impedito uno scontro globale per il rischio reale di una catastrofe nucleare di dimensioni planetarie. Paradossalmente, ed Egli lo vide immediatamente con estrema lucidità, la fine di quel sistema avrebbe innescato una serie di conflitti regionali, anche ad altissimo rischio, che sarebbero usciti dal controllo delle due Superpotenze rendendo la pace nel mondo assai più instabile e precaria.
Fu su queste premesse che Egli aprì un incontro del Partito Popolare Europeo che si svolse a Montecatini, mi sembra, nell'ultimo scorcio del 1989. Il tema era centrato sui nuovi equilibri strategici e sulle possibilità di ridurre drasticamente gli arsenali in vista di un futuro più pacifico sotto l'egida di organismi multilaterali regionali e globali come le Nazioni Unite: di fatto un nuovo ordine delle relazioni internazionali.
Il suo intervento spiazzò e sconcertò i più. Ma non è di questo che voglio parlare visto che l'intero discorso è facilmente reperibile negli archivi del PPE a Strasburgo. Piuttosto vorrei ricordare un evento, estremamente significativo dell'uomo Martinazzoli: la preparazione della sua allocuzione davanti ai leaders di quell'euforica Europa della fine del 1989.
Alla vigilia della riunione, mi chiamò verso le cinque del pomeriggio per domandarmi se me la sentivo di mettergli giù una bozza d'intervento come se l'avessi dovuto fare io. “Forestino”, così mi chiamava quando eravamo soltanto noi due, “mi scarabocchi un po' di idee su come vedi tu la situazione?”
Naturalmente mi misi subito al lavoro e dettai una bozza di analisi la cui parte redazionale più difficile consistette nell'esprimerla nel linguaggio contorto e sofferto dello stile martinazzoliano. Per un crudele accanimento del destino fui praticamente costretto a riscriverla quasi interamente una seconda volta a causa di un errore del computer che causò la cancellazione della prima stesura. Terminai la mia tribolazione alle due di mattina. Soddisfatto per quello che mi sembrava un ottimo lavoro, soprattutto per l'imitazione quasi perfetta del suo stile, me ne andai a riposare.
L'indomani ero puntuale alle dieci davanti allo studio del Ministro per consegnargli il pregevole parto. Arrivò però in ritardo, causa i lavori alla Camera dei Deputati, creandomi non poca apprensione visto che di lì a poco avremmo dovuto partire . Mi tranquillizzava un po' l'orgoglio di essere riuscito a dargli l'impronta molto peculiare di Martinazzoli.
Appena seduto al suo posto di comando cominciò a leggere il mio capolavoro. Ma non fece a tempo a finire neanche la prima pagina che i fogli volavano per tutto lo studio e lui, con una ira mai vista, si era alzato dalla sedia e con una velocità da mitraglietta mi colpì con pesanti parole la più carina delle quali fu “ma che schifezza hai scritto? Ti avevo chiesto di buttarmi giù le tue idee come se il discorso avessi dovuto pronunciarlo tu. Questo pezzo alla Martinazzoli me lo potevo scrivere da solo!”
Calmatosi e ripreso il bandolo della matassa, mentre il frutto delle mie fatiche notturne continuava a giacere nei punti più impensabili della stanza, mi ordinò di sedere prendendo un blocco di carta ed una penna. “Ora rifletti ad alta voce e rispondi alle mie domande” ordinò perentorio. Ma ancora prima d'iniziare si alzò e cominciò a raccogliere i miei fogli sparpagliati dappertutto. Feci per sollevarmi per aiutarlo ma, con un tono di voce che non ammetteva repliche, m'intimò di restare seduto.
Si accomodò al tavolo di lavoro e sfogliando le mie note distrattamente, almeno in apparenza, cominciò a pormi una domanda dietro l'altra disegnando geroglifici sul suo blocco: “ La guerra fredda è finita? Ma la politica di potenza ed i conflitti d'interesse continueranno ed anche con maggiore intensità e coinvolgimenti?
Come spiegare alle nostre opinioni pubbliche l'esigenza di mantenere inalterate le nostre capacità militari? L'Europa sarà in grado di assumere la responsabilità della propria sicurezza? …....” e così via.
In capo ad una mezzora si arrestò e mi disse ”bene Forestino, ora possiamo partire.” Gli chiesi allora di darmi i suoi appunti per metterli in ordine ma mi presi un'altra rispostaccia il succo della quale era che non c'era né il tempo né la necessità di fare alcunchè.
Pronunciò la sua dissertazione tutta d'un fiato, seguendo quelle poche note che aveva abbozzato al mattino, suscitando perplessità, curiosità ma anche preoccupate riserve da parte di un'Assemblea venuta a festeggiare e costretta invece a riflettere su scenari molto meno ottimistici. Fu comunque un intervento molto apprezzato. Più di una volta è stato successivamente ricordato come un segnale ponderato e lungimirante lanciato in un momento in cui la vista dei più era appannata da un evento tanto desiderato quanto inaspettato.
Mi chiese di fare una revisione redazionale del testo stenografico dell'intervento per poterlo pubblicare negli atti del convegno: lo feci con piacere, tanto più che mi limitai a mettere la punteggiatura poichè non dovetti cambiare neanche un aggettivo!
Martinazzoli confermò con i fatti la sua visione del nuovo mondo che andava disegnandosi durante tutto il mandato al Ministero della Difesa. In un tempo in cui i Ministri della difesa occidentali avevano come attività internazionale prevalente quella d'incontrarsi in ambito NATO o tra di loro, Martinazzoli sviluppò una serie d'intensi contatti con colleghi di altre aree geografiche tradizionalmente riservate all'attività dei Ministri degli Esteri. Nell'anno che passò a Palazzo Baracchini vide quasi tutti i colleghi dei Paesi del Mediterraneo, dei paesi dell'ex cortina di ferro, oltre che dei paesi neutrali come Svizzera ed Austria e della stessa Unione Sovietica, i cui contatti erano tradizionalmente responsabilità soprattutto dell'altra superpotenza, a testimoniare il suo convincimento sul mutamento degli orizzonti strategici nato non dai dividenti della pace ma dalla preoccupazione delle probabili nuove instabilità.
L'uomo irrequieto e determinato nelle sue visioni politiche decise alla fine di luglio del 1990 di lasciare il Governo insieme ad altri quattro ministri che condividevano quella svolta politica. Passammo quella sera fino alle due di mattina, seduti al tavolino di un Caffè di piazza Navona, a fosforare sulla bontà di quella scelta e sui possibili avvenimenti futuri. Martinazzoli era pieno di dubbi e timori: era convinto di non avere avuto alternative ma certo nutriva una profonda inquietudine, come era d'altra parte insito nella sua cultura, che ne determineranno gli atteggiamenti futuri.
Qualche giorno dopo vi fu l'invasione del Kwait da parte dell'Irak. Iniziò poi l'avventura che portò alla fine della democrazia cristiana...... ma tutto questo è un'altra storia.

P.S. Martinazzoli è morto il 4 settembre 2011
                           

Paolo Foresti