Memorie



UN RICORDO DELL’AMBASCIATORE GIANFRANCO VERDERAME (*) (**)

di Adriano Benedetti

La cortese, generosa disponibilità del dott. Achille Albonetti mi dà la possibilità di rivolgere un ultimo saluto, rievocandone la personalità, all’Ambasciatore Gianfranco Verderame che, dopo una breve, inarrestabile malattia, si è spento l’11 maggio scorso, all’età di 73 anni.

Il mio desiderio di lasciare una breve traccia commemorativa della figura di Gianfranco Verderame è dovuto a diversi motivi. Innanzitutto alla circostanza che egli è stato per tanti anni un assiduo collaboratore di “Affari Esteri” cui ha dedicato articoli di rara compostezza formale, di intelligente approfondimento e di penetrante conoscenza soprattutto della realtà europea. In secondo luogo, perché fu egli stesso ad introdurmi ad “Affari Esteri” di cui anche io sono diventato un solerte contributore. Ma la ragione più profonda è che la nostra amicizia, che si è proiettata sull’arco di quasi cinquanta anni, si era forgiata in un momento psicologicamente fondativo.

Ricordo ancora il nostro primo incontro, al termine dell’esame orale del concorso diplomatico nella primavera del 1970. Dopo l’esito favorevole degli scritti, la successiva prova dei colloqui si era conclusa con la ragionevole certezza che il concorso era stato superato. Fu uno stato d’animo unico, effervescente in cui l’eco dell’ansia prolungata si mescolava con la gioia prorompente del successo conseguito e con l’improvviso dischiudersi di quella prospettiva di vita e di carriera che si era timidamente coltivata per tanto tempo. Ma in questa temperie di straordinaria singolarità si aggiungeva un elemento di ancora più profondo coinvolgimento. Sapevamo entrambi che, pur provenendo da ambiti familiari diversi, ciò che caratterizzava il nostro comune retroterra era la particolarità che in entrambi i casi la scelta della carriera diplomatica non si era presentata certo come la prima, ovvia opzione, ma era il risultato di un atto di volontà a lungo alimentata, un investimento volitivo che aveva richiesto dosi di speranza e determinazione.

        E’ in questo crogiolo di sentimenti che nacque la nostra amicizia la quale vinse le protratte lontananze e i lunghi silenzi cui ci abitua la carriera, non meno che differenze di valutazione che nel tempo affiorarono tra Gianfranco e me su alcune tematiche internazionali.

     Nei tre anni che seguirono il nostro ingresso al ministero degli Affari Esteri, ci frequentammo, godetti dell’ospitalità dei suoi genitori a Castellammare di Stabia, dividemmo addirittura per qualche mese un piccolo appartamento a Roma nell’attesa che i nostri destini sentimentali e di carriera si compissero.
Così Gianfranco Verderame – dopo aver suggellato un’unione esemplare con la sua Silvia che gli è stata impeccabile consorte nella carriera,  affettuosa compagna di vita e premurosa madre dei due suoi amati figli – affrontò la prima sede all’estero, la Madrid degli anni del crepuscolo franchista, dove ebbe modo di mettere subito in luce le sue pregevoli qualità di intelligenza, sensibilità ed ascolto. Lo ricordano ancora per la sua attenzione alla causa dei dissidenti del regime seppure declinante.

La sua seconda assegnazione fu il consolato di Vancouver – l’unico Paese, il Canada, in cui avemmo modo di svolgere funzioni diplomatico-consolari contestualmente, anche se a migliaia di chilometri di distanza, essendo io all’ambasciata ad Ottawa. La comunità italiana di Vancouver era nota allora per le sue spinte divisive che alla fine “destabilizzavano” il lavoro del Console. Ricordo ancora il Capo Missione dell’epoca, l ’Ambasciatore Smoquina, compiacersi per il fatto che, a seguito dell’arrivo di Gianfranco a Vancouver, la situazione della comunità si era in qualche modo tranquillizzata.

Dopo la puntata in Nord America, la sua carriera prese a concentrarsi su Bruxelles e le tematiche europee. Egli soggiornò nella capitale comunitaria in più occasioni e con incarnazioni di sempre maggior impegno nell’esercizio di funzioni che finirono per coincidere con l’“amore” della sua vita professionale, l’Europa: nella sua tendenza all’unificazione, nelle sue sfide e nelle sue manchevolezze. Egli fu un “entusiasta” dell’idea di Europa unita, sempre convinto e coerente. E non c’è dubbio che le vicende degli ultimi anni siano state motivo di non poche delusioni e sofferenze intellettuali ed emotive per lui.

Con l’avanzare della carriera e l’alternarsi delle responsabilità a Roma, tutte di ben alto profilo, il ministero gli assegnò incarichi all’estero sempre più qualificanti come Ambasciatore d’Italia a Budapest e successivamente ad Algeri. Rientrato in Italia, assunse i compiti di Direttore Generale delle Americhe ed infine di Direttore Generale per le Risorse Umane (dove la delicatezza della gestione dei destini individuali del personale deve coniugarsi con la piena conoscenza delle esigenze della sede centrale e della rete alla luce della politica estera del Paese).

I miei contatti personali con Gianfranco divennero paradossalmente più intensi dopo la messa a riposo quando, come vice-Presidenti del Circolo di Studi Diplomatici, coadiuvammo l’Ambasciatore Roberto Nigido nell’esercizio della presidenza. Ed è proprio sulla base di questa mia esperienza diretta che posso dire con quanta cura, senso di responsabilità, attenzione per tutti i soci Gianfranco, succeduto più tardi a Roberto, abbia condotto la presidenza per quasi due anni e mezzo: con una efficacia e una generosità riconosciute da tutti.
Ed era stato eletto anche nel Consiglio direttivo dell’Associazione Nazionale Diplomatici a riposo. Egualmente in quell’ambito ha avuto modo di dare prova di una costruttiva ed illuminata serietà di partecipazione, quale si trae dalle attestazioni commosse dei dirigenti dell’Associazione.

L’Ambasciatore Gianfranco Verderame era, per molti versi, un “accomplished diplomat”, un raro equilibrio tra eccellenti qualità umane-morali ed intellettuali-professionali.
 
Tengo a riferire al riguardo la testimonianza, raccolta occasionalmente poco tempo fa, di una persona che lo conobbe all’interno della Rappresentanza italiana presso la CEE a Bruxelles, nella sua prima incarnazione, allorché da giovane funzionario gli era stato assegnato anche l’incarico di “capo del personale” della Rappresentanza: svolse il suo compito sempre con equilibrio, prudenza, imperturbabilità, apertura, senso della giustizia e capacità di mediazione. Erano, queste, qualità di fondo della sua personalità che trasfuse ovviamente anche nello svolgimento di tutti i suoi incarichi.

Alla configurazione di “accomplished diplomat” concorreva anche la bella, notevole intelligenza di cui Gianfranco era dotato. L’aveva, tra l’altro, “acuminata” negli studi di giurisprudenza in cui si era laureato giovanissimo, a 22 anni, all’Università di Napoli. Accanto alla sensibilità giuridica (ricordo ancora due straordinarie “Lettere diplomatiche” a sua firma, la prima sul caso dei “Marò” in India e la seconda sulla normativa internazionale in materia di rifugiati), egli “dispiegava” un altrettanto elevata sensibilità politica, senso della storia, alto senso del dovere e del servizio allo Stato. Il tutto innestato su quelle qualità umane sopra menzionate che culminavano nell’equilibrio, capacità di ascolto, capacità propositiva, riservatezza che non precludeva partecipazione e calore umano.

Mi rammarica molto non aver saputo approfittare dei nostri anni di pensionamento per incontrarci di più, parlarci di più e capire meglio le ragioni delle nostre a volte diverse visioni del mondo.

L’eco della scomparsa di una persona è stata paragonata ai cerchi concentrici che in uno stagno vanno con sempre minore intensità increspandosi dopo il lancio di un sasso. Questo mio modesto scritto porta la speranza di contribuire, sia pure in minima misura, a rallentare l’inevitabile, progressiva evanescenza del ricordo a ragione dell’esemplarità di una vita degna di memoria per onestà, impegno e dedizione allo Stato.

 

 

(*) L’articolo è stato pubblicato nella rivista Affari Esteri Anno LX NUMERO SPECIALE - Estate 2019 - N.189

(**) Anagraficamente il nome dell’Ambasciatore Verderame era Giovan Battista. Così d’altronde firmava i suoi articoli per “Affari Esteri”. Ma nei rapporti quotidiani era sempre stato da tutti chiamato Gianfranco. Vogliamo ricordarlo in questa sede con l’appellativo che ce lo fa sentire ancor più vivo nella dimensione dell’amicizia.