Memorie



 

 

Ricordi dell'Ambasciatore Francesco Paolo Fulci

 

 

UN PICCOLO RICORDO DI PAOLO FULCI, ALL’INIZIO DELLA MIA CARRIERA

 

Giusandrea Mochi Onory

Ebbi ad incontrare Francesco Paolo Fulci all’inizio della mia carriera, E il Consigliere di Legazione Fulci era già un mito. In quegli anni il nostro concorso, di ben 56 persone, era irrotto nella Carriera, già scossa fin dal profondo dalla riforma del 1965, con effetto da terremoto. E così fu anche per il Sindacato, il SNDMAE, cui molti di noi, ma non tutti, aderirono.

E subito ci battemmo per avere una rapprentanza nel Consiglio. E non fu facile. La ottenemmo e, con altri due colleghi, fui designato a rappresentare il nostro concorso. Ricordo che, in questi frangenti, ricevetti una telefonata dal Consigliere Fulci che voleva vedermi. A quei tempi le elezioni al SNDMAE funzionavano così.Non vi erano limiti nelle deleghe ed ognuno poteva averne quante riusciva ad ottenerne. E le elezioni avvenivano poi con l’incontro dei due candidati. Nel caso specifico, Migliuolo e Fulci.

Ciascuno deponeva il suo pacchetto di deleghe sul tavolo, e chi ne aveva di più vinceva. Il futuro Ambasciatore Fulci, quando lo incontrai, mi chiese il mio appoggio e con me quello dei colleghi del mio concorso. Fulci divenne il Segretario Nazionale del SNDMAE. E poi si dipanò tutta la carriera sulla quale ben altro potrei dire. Ma del sapore e della autorevolezza dell’inizio conservo, e testimonio, il ricordo.


L’EMPATIA E L’UMANITA’ DI PAOLO FULCI


Anna Blefari Melazzi

La scomparsa dell’Ambasciatore Paolo Fulci è stata una grave perdita per tutti: famiglia, amici, colleghi, simpatizzanti, coloro che lo conoscevano e coloro che non hanno avuto l’opportunità di conoscerlo.

La stampa ha dedicato a lui lunghi articoli, elogiandone le straordinarie capacità di diplomatico e ricordando le numerose e grandi battaglie da lui combattute e vinte per l’Italia alle Nazioni Unite.

Per noi colleghi Paolo Fulci ha rappresentato un esempio fulgido da imitare. Un grande Servitore dello Stato, egli ha introdotto un nuovo stile di diplomazia: una diplomazia moderna, caratterizzata da franchezza, combattività, creatività, lungimiranza e visione, ma anche da empatia nei confronti dei suoi interlocutori. Sono state tali sue doti carismatiche che gli hanno procurato rispetto e ammirazione nel mondo diplomatico estero ed hanno colpito anche l’opinione pubblica italiana.

Rispetto ai grandi Ambasciatori dell’epoca del mio ingresso in carriera – più tradizionali e meno empatici – Paolo si contraddistingueva per la sua modernità, la sua democraticità e soprattutto per la sua umanità, dote, quest’ultima, propria degli uomini e delle donne del Mezzogiorno d’Italia, nonostante egli fosse spietato con i suoi avversari e i suoi “nemici”.

Un episodio ha lasciato in me tracce profonde. Nel febbraio del 1990 ricevetti una lunga lettera da Paolo, scritta di suo pugno, con cui mi esprimeva la sua affettuosa partecipazione alla tragedia che aveva colpito mio marito, Denis Schneider, negli Stati Uniti, dove allora prestavo servizio: una caduta da una seggiovia alta dieci metri, che aveva lasciato Denis gravemente ferito, rendendolo paraplegico. Paolo concludeva la sua lettera manifestandomi tutto il suo dispiacere perché, a suo avviso, la nuova situazione fisica di mio marito avrebbe inciso negativamente sull’ulteriore svolgimento della mia carriera.

Fu l’unica lettera che ricevetti da un Ambasciatore per l’incidente.

Paolo Fulci non nutriva alcun pregiudizio per noi donne appena entrate in carriera, e dimostrazione ne è la figlia, Marie Sol, prestata al servizio diplomatico italiano.

Paolo mi ha sempre incoraggiata. Non ho avuto il privilegio di essere nella sua squadra in un’Ambasciata, ma ebbi l’opportunità di collaborare con lui per alcuni eventi. Nel 1996, quando ero Coordinatore per l’energia, l’ambiente e la cooperazione tecnologica internazionale presso la Direzione generale degli Affari economici, l’Ambasciatore Fulci si rivolse a me per l’organizzazione di un seminario a Roma dedicato ai rappresentanti politici e agli Ambasciatori delle “Piccole Isole” presso l’ONU, e volto ad illustrare gli ultimi rimedi messi a punto a Venezia per combattere l’acqua alta, flagello anche delle Piccole Isole. I destinatari del seminario costituivano una clientela fedelissima e particolarmente curata da Paolo per ottenerne il sostegno nella sua battaglia per la riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Potei constatare in quell’occasione l’amicizia, la stima e l’affetto nutriti dai rappresentanti delle Piccole Isole per Paolo Fulci. I numerosissimi voti ottenuti alle Nazioni Unite dall’Italia da parte degli Stati delle Piccole Isole erano indiscutibilmente merito personale ed esclusivo di Paolo.


PAOLO FULCI E LA FINE DELLA GUERRA FREDDA
                                                                                                                     
Giovanni Brauzzi

Tre rapidi ricordi personali dell’energia e del coraggio con cui Paolo Fulci, nei suoi anni alla NATO (1985-1991), aveva saputo rappresentare l’Italia nella complessa transizione verso la fine della Guerra Fredda.

Dicembre 1987. Si e’ conclusa da pochi giorni la Sessione Ministeriale del Consiglio Atlantico, al margine della quale i Paesi di spiegamento (Italia, Germania, Regno Unito, Belgio ed Olanda) completano il quadro dell’accordo USA-URSS per lo smantellamento delle Forze Nucleari Intermedie. Tutti contenti e, prima della pausa natalizia, mancano solo da concludere pratiche di routine. Lord Carrington non nasconde in Consiglio la sua sorpresa quando l’Italia si rifiuta di approvare il Bilancio Civile perche’, contrariamente alle promesse, non ci sono fondi adeguati per i programmi legati alla “dimensione scientifica ed ambientale” dell’Alleanza. Fulci rievoca il messaggio di Gaetano Martino nel Rapporto dei Tre Saggi del 1956 e pensa al proficuo contributo dei Seminari di Erice di Antonino Zichichi. Chi piu’ si espone, piu’ puo’ pretendere.

Giugno 1988. Il Vice Presidente USA Bush padre visita Bruxelles. Nella riunione a porte chiuse con il Consiglio Atlantico, ascolta Fulci, che commenta preoccupato il rapporto di una delle prime ispezioni compiute nel quadro dei meccanismi di sicurezza cooperativa tra i due blocchi, che enfatizza l’elevata prontezza ed efficienza dell’apparato militare sovietico. Gli scappa un commento (“Avessimo noi a Detroit quei meccanici ...”) che va a finire sulla stampa internazionale, provocando, in piena campagna per la Casa Bianca, un putiferio tra i metalmeccanici USA !

Gennaio 1991. Finita la Guerra Fredda, con l’ingresso della Germania unita nella NATO (salutato solennemente da Fulci come Decano del Consiglio Atlantico), ci si comincia a domandare quale sara’ il futuro dell’Alleanza, il “riccio che sa fare bene solo una cosa”(I. Berlin) mentre servono “volpi”, piu’ agili nel parare le insidie della c.d. “fine della storia”. Una prova sembra essere rappresentata dalla Guerra del Golfo, combattuta da una coalizione a guida USA ma senza un diretto coinvolgimento della NATO. Arriva l’attacco aereo a Bagdad. Il carabiniere di turno alla RICA mi avverte verso mezzanotte. Come da sue istruzioni, chiamo Fulci che, subito, chiede a Woerner di convocare d’urgenza il Consiglio. Riunione alle 3 di notte, alla presenza di tutte le televisioni del mondo. Furioso l’ambasciatore francese, che, per marcare il suo dissenso, partecipa senza cravatta. Imbarazzato il britannico, che arriva in ritardo perche’ i suoi non riuscivano ad avvertirlo. Dopo quindici minuti, il Consiglio termina la seduta e tutti tornano a guardare la CNN. Grande soddisfazione a Roma, perche’ partecipare alle operazioni aeree, senza un minimo di coinvolgimento NATO, sarebbe stato ben piu’ problematico. Comincia ad emergere quella strategia della comunicazione che rendera’ leggendario Fulci alle Nazioni Unite.

Energia e coraggio, due marchi distintivi di un grande diplomatico, che ricordo con stima e riconoscenza.


PRIMO ED ULTIMO RICORDO DI PALO FULCI


Giovanni Ferrero


            Da poco entrato al Ministero nel 1963, mi ero iscritto al SNDMAE, incerto sul ruolo che il Sindacato avrebbe potuto svolgere. La mia esitazione venne meno quando fui testimone, nel confronto del Sindacato con L’ Ammistrazione, di un intervento di  Paolo Fulci. Egli sapeva tener testa a colleghi molto piu anziani, senza farsi intimorire, ribattendo argomenti con argomenti. Un esempio di preparazione e di leadership di un giovane per i piu giovani.

            Rividi l’ ultima volta Paolo a cena quando da poco egli era diventato vicepresidente della Multinazionale Ferrero. Si passarono in rassegna vari argomenti. Quello che rimase al centro della mia attenzione fu la sua partecipazione al Convegno di Messina, organizzato per commemorare la figura di Gaetano Martino, già Ministro degli Affari Rsteri, uno dei firmatari dei Trattati di Roma del 1957. Mi piaceva ricordare Martino anche in un’ altra veste, in quella dell’ultimo auterevole  esponente del Partito Liberale Italiano. Martino in prospettiva voleva una Federazione Europea, e Paolo Fulci voleva ricordare il suo pensiero di liberale e di cittadino europeo, oggi piu che mai attuale. 

 


UN LEADER CHE SAPEVA DARTI LA CARICA


Patrizio Fondi

Non scordero’ mai il giorno della tradizionale cerimonia di saluto per Giampaolo Cantini e me , in occasione della nostra partenza da New York nel lontano febbraio 1994.

Nel brindisi, l’ Ambasciatore Fulci – il nostro caro Paolo – ci disse: “ Al mondo ci sono persone che creano problemi e persone che risolvono problemi. Lasciatemi dire che voi due vi collocate decisamente nella seconda categoria”.

Ecco, quello e’ stato il piu’ bel complimento che ho ricevuto durante la mia trentacinquennale carriera diplomatica da un mio superiore, ancora piu’ gratificante di note di qualifica brillanti. Con poche parole – come solo i veri leader sanno fare – mi aveva dato un chiaro e pieno segnale di riconoscimento dell’impegno che avevo profuso in quel bellissimo periodo della mia vita alle Nazioni Unite, tra negoziati notturni, battaglie epiche con il Segretariato dell’ Organizzazione e accanite competizioni elettorali.

Lavorare sotto la guida di un capo come Paolo e’ stato non solo un privilegio, ma anche una vera e propria avventura, fatta di entusiasmo, gioco di squadra e sorprese quotidiane. Chi non lo ha sperimentato non puo’ capire e nella vita ha perso sicuramente qualcosa


PAOLO FULCI: UN RICORDO


Carlo Oliva


Non è facile condensare in poche parole tre anni di lavoro con l’Ambasciatore Fulci. Peraltro, una delle sue raccomandazioni era la concisione: “un telegramma (come si chiamavano una volta) non deve mai superare una pagina e mezza, altrimenti nessuno lo leggerà”.

Proverò a seguire, ancora una volta, dopo più di trent’anni, il suo insegnamento.

Rappresentanza alla NATO 1988-1991. Tre anni che hanno cambiato il mondo in un susseguirsi tempestoso di eventi, dal crollo del muro di Berlino all’unificazione tedesca, celebrata dal Consiglio Atlantico con una sessione speciale di grande commozione in cui presero la parola solo tre persone: il Segretario Generale dell’Alleanza, Manfred Woerner, l’Ambasciatore della R.F.G, von Ploetz, e l’Ambasciatore Fulci, nella sua qualità di Decano del Consiglio.
In aggiunta, la Guerra del Golfo: ero di turno nella Sala Operativa della RICA la seconda notte del conflitto e lo svegliai due volte: la prima per dargli la notizia di un attacco missilistico su Gerusalemme, fortunatamente senza le paventate testate chimiche, e la seconda alle prime luci dell’alba per informarlo dell’abbattimento del Tornado di Bellini e Cocciolone.

Ulteriore ricordo, tra i tanti di quel convulso periodo, la vicenda Gladio / Stay Behind. Fulci, risolvendo non pochi problemi al Governo, ottenne da Woerner una smentita del comunicato emanato dal portavoce di SHAPE che aveva negato l’esistenza di una struttura segreta della NATO.

La personalità e le doti di Paolo Fulci sono già state ricordate da tanti. In particolare, il suo altissimo senso dello Stato e della Carriera, l’orgoglio di essere italiano, la sua professionalità.

Su un piano più personale, aggiungerei la sua straordinaria capacità di motivare, per la quale si serviva di non comuni esempi, quali il “bastone del pellegrino”, di cui ogni buon diplomatico avrebbe dovuto essere fornito, per poter andare a ricercare e raccogliere dai suoi interlocutori informazioni sui vari dossier, e che, peraltro, si doveva trasformare, nel caso di contenziosi o di situazioni conflittuali, in un “forcone rovente”, dalle finalità e scopi evidenti.

Un’ulteriore sua qualità, non comune per personalità del suo livello, era la disponibilità ad ascoltare. Se si fidava (e lo faceva solo dopo che ti aveva messo più volte alla prova), spesso condivideva la linea di azione suggerita, la faceva propria e la portava avanti con la tenacia e l’autorevolezza di cui godeva.

E’ infine ben nota la sua abilità nel trasformare i suoi collaboratori in una squadra coesa, priva di reciproche gelosie ed invidie. Il dream team famoso è certo stato quello di New York, ma le basi sono state gettate a Bruxelles alcuni anni prima.


PAOLO FULCI, UN DIPLOMATICO E UN “MANAGER”: HA ATTRAVERSATO IL MONDO, ANTICIPANDO IL FUTURO

Giuseppe Panocchia


La personalità e lo stile del fine diplomatico, le qualità e la sensibilità dell’uomo sono  note e già evocate con calore da tanti colleghi che hanno lavorato con Lui.

Riproporle rischierebbe  perciò di diventare solo uno stucchevole esercizio retorico. E Paolo Fulci non lo merita, perché dalla retorica rifuggiva e la sua storia lo testimonia. Andava al sodo, guardava al risultato, stimolando,  mobilitando e coinvolgendo  tutti e tutto.
 
Ricordare Paolo Fulci è in un certo senso ripercorrere il mio cammino alla Farnesina. Il primo incontro con Lui ,da volontario,  nel “corridoio dei quattro ascensori”, quando ad un Primo Segretario ci si rivolgeva con il Lei. L’ultimo qualche anno fa: entrambi “a riposo”,  ci ritrovammo  per strada, per caso, e ci abbandonammo all’onda dei ricordi.
Non abbiamo lavorato insieme,  ma ho avuto modo di interagire con Lui in più occasioni, trovando in Paolo  Fulci un interlocutore prezioso, un ascoltatore acuto ed attento, un amico.

Preferisco perciò onorarne la memoria, ricordandone un tratto, il suo modo di concepire  la figura del diplomatico.

Servire al meglio il Paese, anche con sacrificio, esercitare le funzioni e responsabilità cui  si è chiamati, nella   consapevolezza che la carriera diplomatica non è una “casta” , ma un Corpo dello stato. che deve assicurare all’Italia il ruolo che le compete, tutelarne gli interessi, favorirne lo sviluppo. Per questo, Paolo considerava  competenze, professionalità,  esperienze maturate  il  bagaglio specifico, necessario ed ineguagliabile del diplomatico al servizio del proprio Paese.

Vorrei qui ricordare come Aldo Moro,  poco prima della sua tragica fine, avesse preso la penna per  sventare un tentativo di abrogare la specificità  della carriera diplomatica . Scrisse su ”Il Giorno” che nei suoi contatti in giro per il mondo aveva rilevato, con sorpresa, il grande prestigio di cui l’Italia godeva attribuendone il merito al lavoro dei diplomatici italiani.

E di questo, Paolo Fulci è stato un esempio indiscusso, consapevole come era dell’importanza di salvaguardare la funzione del diplomatico. Chi non ne ricorda l’impegno nel SINDMAE?
 
Rappresentante Permanente presso la NATO, nella seconda metà degli anni ’80, in occasione di una Riunione Ministeriale coincidente con una protesta dei diplomatici contro un ennesimo tentativo di annegare la carriera nel ruolo unico della dirigenza,  Fulci - da solo - accolse il Ministro all’aeroporto . Gli manifestò l’adesione propria e dei suoi funzionari alla protesta, esprimendo al contempo la sua personale assoluta disponibilità ad accompagnarlo ed assisterlo .

Così era Paolo:  coerente con i suoi convincimenti e il suo passato sindacale e rispettoso dei doveri  che il suo ruolo esigeva.

E’ un’eredità preziosa, Amico,  quella che lasci ai colleghi più giovani, messi alla prova da tempi difficili, e un motivo d’orgoglio e rimpianto per noi che ti abbiamo conosciuto.


Il FATO DI PAOLO FULCI

Michelangelo Pisani Massamormile

Cari Colleghi, in un momento buio e agitato nell’orizzonte nazionale, la Carriera ha lanciato tre segnali diversi, ma convergenti. Mi riferisco alla nomina del primo italiano nell’Accademia Francese fondata da Richelieu, all’ attenzione ricevuta da una eminente Collega nella scelta del Presidente della Repubblica e alla testimonianza del Segretario Generale della Farnesina sulle 27 vittorie elettorali dell’Italia all’ONU, grazie “al lavoro, disciplina, preparazione, perseveranza” di Paolo Fulci, leggenda della Diplomazia.

Nessuno di noi ha titolo per aggiungere una parola a quanto ha scritto l’ Ambasciatore Ettore Sequi. Tutti noi siamo stati però coinvolti nella Carriera che pone costantemente una scelta tra le sue priorità e quelle familiari di ciascuno. Non è facile pertanto aver successo come diplomatico e congiuntamente come Capo Famiglia. Paolo invece ha trionfato in entrambe le funzioni. I figli Sebastiano e Marie Sol ben lo confermano. Gran merito a Paolo, senza però dimenticare l’aiuto del destino.

Siamo nel settembre del 1963, Paolo è nella Direzione Generale degli Affari Politici, quando è scelto per accompagnare alla Assemblea Generale dell’ONU il Ministro Attilio Piccioni, non amante dei viaggi aerei. Nella traversata in mare Paolo conobbe una fanciulla di ritorno dall’Italia. Appena giunto a New York egli ci dichiarò di aver incontrato la Donna della sua Vita. Claris  infatti è stata il sostegno in tutte le sue battaglie.
Ricordo che egli tenne una Conferenza a Napoli sulle sue 27 vittorie e ritengo che sarebbe significativo ricordare Paolo e Claris nello stesso luogo il prossimo 19 Marzo, giorno del suo compleanno.


PAOLO FRANCESCO FULCI E LE CELEBRAZIONI DEL 9° CENTENARIO DELL’INVASIONE DEI NORMANNI IN SICILIA

Luigi Solari


Dal novembre 1971 all' ottobre 1974 sono stato il  titolare del Consolato d'Italia a Le Havre,  la cui giurisdizione si estendeva a tutta la Normandia storica. Paolo Fulci prestava in quello stesso periodo servizio diplomatico a Parigi, ove esercitava egregiamente le funzioni di Consigliere della nostra Ambasciata, con lo specifico incaricdi sovrintendere all'attività di tutti gli uffici consolari italiani allora esistenti in Francia.
Nel 1972 venne celebrato, in entrambi i Paesi, il 9° centenario della  cosiddetta Invasione dei Normanni in Sicilia, e cioè di coloro che, partendo dalla costa settentrionale atlantica della Francia capetingia, nel 1061 sbarcarono a Messina guidati da Ruggero d'Altavilla e, dopo una marcia lunga e faticosa, contrassegnata da varie battaglie,  nel 1072 conquistarono perfino Palermo. 
Per delega dell'ambasciatore Francesco Malfatti di Montetretto, Paolo fu l'ideatore e l'organizzatore, insieme a me, dei numerosi eventi commemorativi tenutisi in Normandia. E ciò tanto più che un membro del governo francese dell'epoca, il Ministro incaricato dell'Aménagement du Territoire, era  il Deputato André Bettencourt, un normanno purosangue che esercitava nel contempo le funzioni di Sindaco di Saint Maurice d'Etelan, una cittadina del Dipartimento della Senna Marittima, sita a mezza strada tra Le Havre e Rouen. Egli infatti veniva comunemente chiamato il Député Maire.
Per converso, essendo Paolo un siciliano verace e molto religioso, egli ebbe l'ottima idea di invitare alle cerimonie il Cardinale Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Palermo e Primate di Sicilia, nativo di  Villafranca  Sicula. Questi accettò ben volentieri l'invito e, giunto a Le Havre in treno da Parigi insieme al Cons. Fulci, prese parte ad una una serie di eventi sia civili e sia religiosi, e principalmente ad una solenne concelebrazione nella Cattedrale gotica di Caen, il capoluogo della Regione della Basse Normandie.
In tale occasione il prelato pronunciò un omelia dai profondi contenuti spirituali. Paolo Fulci, invece, svolse qualche giorno dopo un importante discorso di carattere storico.
Poiché  nella circoscrizione consolare risiedevano molti lavoratori emigrati dall'Italia meridionale e soprattutto dalla Sicilia, i rispettivi rappresentanti mi pregarono di chiedere a Sua Eminenza di celebrare una Messa in italiano per loro, ciò che egli fece ben volentieri in una chiesa nei dintorni di Rouen.
Conservo ancora una fotografia ove io e mia moglie Patricia siamo ritratti, giovanissimi, accanto al Cardinale Pappalardo, raffigurato mentre sorride nel suo bell'abito talare di colore rosso porpora, al centro di un gruppo di una cinquantina di connazionali e delle loro consorti. Nella foto si vedono anche sei bambinette vestite a festa.


RICORDO DEI MIEI CONTATTI CON L’ AMBASCIATORE FULCI


Massimo Spinetti

 

Il mio primo contatto personale con l’Ambasciatore Fulci risale alla fine degli anni Novanta, ad una riunione di Capi Missione nei Paesi che appoggiavano le aspirazioni di Germania, Giappone, India e Brasile ad ottenere un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Non fu un’occasione facile, dato che la Slovenia, Paese presso il quale ero accreditato, appoggiava fin dall’inizio le aspirazioni della Germania, anche perché l’Italia fino a pochi mesi prima si era opposta non solo all’adesione di Lubiana all’Unione Europea, ma anche alla firma del Trattato di Associazione. I rapporti italo-sloveni erano stati talmente tesi in quel periodo che in ogni cerimonia pubblica c’era un attacco all’Italia.

L’Ambasciatore Fulci mi disse in quell’occasione, non senza energia, che dovevo far valere il ritiro del veto italiano all’adesione della Slovenia alle istituzioni dell’Unione Europea per fare pressioni sul suo governo affinché appoggiasse, sulla questione della riforma della Carta delle Nazioni Unite,  le nostre posizioni. Da parte mia feci presente che ero già intervenuto più volte  sulle Autorità slovene, e che il Ministro degli Esteri, che il caso voleva fosse stato fino a pochi mesi prima Ambasciatore del suo Paese proprio in Germania, mi ripose che “la Slovenia non è una banderuola che si muove secondo come tira il vento”. Anticipai però che  ero riuscito ad ottenere che Lubiana non appoggiasse la mozione procedurale proposta dai pretendenti al seggio permanente, secondo la quale per modificare la Carta sarebbe stata sufficiente la maggioranza semplice invece di quella dei tue terzi degli Stati membri.

 L’Ambasciatore Fulci si compiacque di questo sviluppo ma mi disse che, conoscendo il suo collega sloveno a New York, dubitava che avrebbe  messo in pratica passivamente tale indicazione delle Autorità di Lubiana. In effetti ebbe in parte ragione, perché la Slovenia sulla mozione procedurale non votò contro, come io avevo richiesto, ma si astenne. Comunque, l’Ambasciatore Fulci, dopo la discussione della mozione, scrisse da New York che tra coloro che avevano votato a favore di quest’ultima c’erano tutti i Paesi che appoggiavano l’allargamento dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, con la “lodevole eccezione della Slovenia”. Di più, però, non riuscii ad ottenere e pensai che sicuramente questo non era stato apprezzato a New York.
Non incontrai più, durante gli anni in cui rimasi in servizio, l’Ambasciatore Fulci, ma dopo il mio collocamento a riposo ebbi l’incarico dal Presidente pro-tempore del Circolo del Ministero degli Affari Esteri di accoglierlo in vista di una riunione dell’Assemblea, nella quale fu poi eletto Presidente. Ripensando ai nostri contatti nel mio periodo sloveno, mi aspettai una certa freddezza da parte sua; fui quindi sorpreso dalla cordialità che mi mostrò e dal tono amichevole che mantenne durante il percorso a piedi, che si ripetette quando lo riaccompagnai, dopo la conclusione dell’Assemblea, alla sua autovettura.

Successivamente ebbi occasione di scambiare con lui alcuni messaggi di posta elettronica nella mia veste di Tesoriere di ASSDIPLAR, ed era sempre sollecito nel rispondermi con grande affabilità. L’ultimo messaggio glielo inviai pochi giorni prima della sua scomparsa e ad esso non ebbi risposta. Temetti che significasse quello che poi è accaduto.

Di lui mi è rimasto il ricordo di un grande collega e di un grande uomo con grandi principi, che tanto ha fatto per il prestigio dell’Italia in campo internazionale e tanto ha contribuito alla formazione dei giovani colleghi desiderosi di seguire le sue orme.


UN DIPLOMATICO DI RAZZA


Umberto Vattani

 

Al Ministero degli Esteri cominciai a conoscere da subito molti colleghi. Data la mia assegnazione al Contenzioso Diplomatico, si presentavano parecchie occasioni di discutere i problemi di persona per cercare di dissolvere le incertezze del diritto.

Incontrai la prima volta Francesco Paolo Fulci quando mi capitò di recapitare un appunto urgente al Gabinetto del Ministro. Mi colpì l'attenzione con cui volle prendere nota e approfondire le argomentazioni da noi addotte.

Mi aveva accolto con cortesia e questo mi incoraggiò a chiedergli quale fosse la questione che lo occupava di più.

Stiamo cercando di far eleggere il Ministro Fanfani Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite“, rispose. Traspariva da quelle parole la passione per la competizione nella grande arena dove si giocava il successo o il fallimento di quell'ambizione. 

Il successo della candidatura di Amintore Fanfani al più alto scranno dell’ONU nel 1965 meravigliò tutti. Fece capire al Ministero il ruolo che il giovane Fulci aveva svolto e a me quale sarebbe stata la sua strada.

La Presidenza italiana all’Assemblea Generale del 1965

Iniziati a settembre i lavori dell’Assemblea Generale, fui inserito nella Delegazione italiana e mi ritrovai con Paolo Fulci a New York. Pur non rivestendo una carica elevata, egli svolgeva nella Rappresentanza un ruolo chiave. Aveva una grande influenza sui colleghi, si soffermava volentieri con loro sui passaggi di procedura dei lavori dell’Assemblea che erano andati a buon fine. Mi accorsi così che per Paolo si doveva raggiungere l’obiettivo, quali che fossero gli ostacoli. Quante volte gli sentii dire che bisognava arginare le lamentele, il piangersi addosso e il pessimismo sistematico. Al tempo stesso nessuna resa poteva essere giustificata, quello che occorreva era affrontare la sfida e fare squadra.

Le posizioni avanzate erano quelle che prediligeva. Era in corso in quegli anni la guerra in Vietnam. Incontrammo insieme alle Nazioni Unite il Sindaco di Firenze, Giorgio La Pira. Tornava da Hanoi, dove aveva incontrato di persona Ho Chi Minh che gli aveva affidato un messaggio. Fu Paolo Fulci a organizzare l’incontro di La Pira con Fanfani, un incontro che avrebbe potuto aprire uno spiraglio per le trattative di pace.

Un altro tema, tra i più delicati di cui si discusse in quei mesi, era quello del seggio cinese, occupato da Taiwan ma rivendicato con forza dal regime comunista di Pechino.
Si cercò in tutti i modi di andare avanti sull’uno e sull’altro scacchiere. Bisogna capire gli slanci di quel tempo, pieni di ardore per il ruolo che il Paese stava acquisendo in campo internazionale.

La Delegazione italiana dovette rendersi conto che serviva molto buon senso nell’esaminare ciò che di volta in volta era concretamente possibile fare, tenendo conto del contesto in cui ci trovavamo.

 A ottobre, il Presidente Fanfani riuscì a invitare Paolo VI alle Nazioni Unite, un fatto senza precedenti. Paolo Fulci osservò divertito che il nostro Ministro degli Esteri sarebbe stato il primo uomo sulla terra a dare la parola al Papa che, come noto, la prende sempre da solo.

 

 L’incontro di Paolo con Claris

Nel corso di una serata a New York Paolo Fulci mi parlò di un suo viaggio in nave attraverso l’Atlantico. Aveva conosciuto una ragazza che viaggiava sullo stesso piroscafo con sua madre. Da come la descriveva, si vedeva che ne era innamorato, aveva incontrato la compagna ideale, bella, affascinante, estremamente elegante. 

Era evidente che stava per fare una scelta che avrebbe cambiato la sua vita.
Poche settimane dopo, in un ricevimento a casa di Michelangelo Pisani Massamormile, Paolo Fulci annunciò il suo fidanzamento con Claris.


A Parigi nel ’68

L’anno successivo fui destinato a Parigi. Paolo Fulci fu a sua volta assegnato all’Ambasciata d'Italia nella capitale francese. In attesa di trovare una residenza adeguata, Paolo si fermò per alcune settimane a casa nostra.

Abitavamo sul Boulevard St Germain, vicino al Quartier Latin, e assistevamo spesso agli scontri tra studenti e gendarmi. 
Il ‘68 avrebbe promosso la libertà dai genitori, dalle autorità e tra i sessi, ma non il merito e il senso civico. 

Ci capitava di trascorrere le serate insieme e di ricordare gli anni trascorsi all’Università. Eravamo d’accordo nel sottolineare che l’ambiente universitario di allora presupponeva una marcata selezione di classe ed era autoritario. Ma comunque funzionava. 

Ci sembrava che il livello degli studenti sarebbe sceso perché, per reazione a quanto avveniva, non ci sarebbe più stata una vera selezione. Paolo sottolineava spesso che in una società liberal-democratica l’ascensore sociale doveva essere a disposizione di tutti, per scendere se non si merita, e per salire se si merita.

Una testimonianza

Alcuni episodi sull’attività di Fulci alle Nazioni Unite li appresi da mio fratello che ricopriva allora il ruolo di Rappresentante permanente per il disarmo. Alessandro doveva recarsi regolarmente a New York e partecipava volentieri agli staff meeting organizzati da Paolo.

Ricorreva spesso, mi disse, in queste riunioni l’imperativo di fare squadra, compito arduo per gli italiani che si divertono soprattutto a fare di testa propria.

Paolo Fulci esercitava il suo ruolo con straordinario equilibrio ed efficacia. Predicava la sobrietà, la dignità e il rigore. Virtù semplici che sembrano scomparse nell’oggi piegato al denaro, ma che appartengono alla nostra identità più profonda di uomini civili che vogliono vivere in una Repubblica che sia anche democratica.

Gli era piaciuta una frase di mio fratello. Alessandro riteneva che parametro ideale per il merito e le capacità fosse lo sport o la musica. “Chi è il migliore vince e non vi è discussione. Se la nostra società funzionasse come una gara di corsa, come un concorso per pianoforte, vivremmo in ben altre condizioni”.

 

Irritazione dei tedeschi, ironia italiana

Nel periodo in cui Paolo era a New York, io ero in Germania.

In un incontro tra Susanna Agnelli e il Ministro degli Esteri Klaus Kinkel, quest’ultimo si lamentò per gli attacchi che Paolo Fulci muoveva alla Germania nelle discussioni per la riforma del Consiglio di Sicurezza.

            “Difende gli interessi italiani”, rispose con garbo il nostro Ministro.
            “Ma lo fa con troppa foga e veemenza”, sbottò piccato Kinkel.
            “Ho capito, Klaus”,  replicò Susanna Agnelli con un sorriso, “quando andrò a New York gli dirò di sussurrare”.

"Sfera nella Sfera” di Arnaldo Pomodoro alle Nazioni Unite

Negli anni ero riuscito a collocare in alcune città in Europa, negli Stati Uniti e in Russia, grandi sculture di artisti italiani contemporanei. Tutte in luoghi pubblici prestigiosi: accanto al Reichstag a Berlino, davanti al Parlamento Europeo a Strasburgo, a Mayfair a Londra, nelle Istituzioni Europee a Bruxelles, davanti al Museo di arte contemporanea a Mosca e così via.

Dissi a Paolo: "Perché non ne collochiamo una davanti l’ingresso del Palazzo di Vetro, nel punto di massima visibilità?"

L’idea gli piacque e così iniziò l’operazione 'Sfera nella Sfera'.

La realizzazione del progetto apparve da subito complicata: si misero di traverso i Sindacati dell’Organizzazione. Le Nazioni Unite non avrebbero speso neppure un dollaro: i lavori sul piazzale per sistemare una scultura in bronzo di 3,50 metri di diametro, il trasporto e la regolare manutenzione dell’opera non avrebbero dovuto comportare alcun onere per le finanze dell’Onu.

 Facemmo appello alle banche per evitare che la spesa complessiva gravasse sul bilancio pubblico e fu perfino necessario istituire una Fondazione che si assumesse il compito di curare la buona conservazione della scultura. 

Il ricordo delle peripezie e delle difficoltà incontrate in corso d’opera svanì il giorno dell’inaugurazione: in una mattinata radiosa, le immagini pubblicate dalla stampa ritraggono tutti noi, il Segretario Generale Boutros Ghali, il Ministro Dini, Paolo ed io che divertiti facciamo girare la sfera sul suo piedistallo.

 

Una formula per assicurare la permanenza di Paolo Fulci alle Nazioni Unite

Quando il Ministro Lamberto Dini mi pregò di trovare il modo di prolungare la sua permanenza alle Nazioni Unite, dopo il raggiungimento dei limiti di età, trovai insieme al Presidente della Corte dei Conti, Francesco Staderini, una formula che venne approvata dal Consiglio dei Ministri.

Questo è stato il modo migliore per dimostrare all’Ambasciatore Paolo Fulci la nostra ammirazione e di pagargli, almeno in parte, il debito di gratitudine che il Ministero degli Esteri gli deve.

 


UN GRANDE DIPLOMATICO ITALIANO

 

Daniele Verga

 

Abbiamo salutato un Grande Diplomatico Italiano che ha segnato la vita diplomatica, istituzionale, imprenditoriale italiana degli ultimi cinquant’anni: l’Ambasciatore Francesco Paolo Fulci.
Anche coloro che non hanno avuto il privilegio di lavorare con Lui e per Lui nei Suoi lunghi anni alla Farnesina sono stati testimoni o ricordano momenti, fatti, eventi, azioni che Lo hanno visto determinato, infaticabile protagonista.

La Diplomazia italiana, le istituzioni italiane  Gli debbono molto per come le ha scrupolosamente servite, onorevolmente rappresentate, autorevolmente difese con la signorilità, il garbo, la determinazione, la fierezza, il portamento del signore siciliano, rigoroso sui principi e sulle tradizioni  tanto nella vita pubblica che privata, rispettoso della parola data,  cultore intransigente del valore dell’amicizia.

Della Sua prestigiosa carriera diplomatica due Sedi in cui ha servito come Capo Missione testimoniano significativamente la Sua affidabilità e la Sua versatilità:  la Rappresentanza Permanente presso la NATO a Bruxelles prima e presso le Nazioni Unite a New York in seguito. Due dei tre pilastri (il terzo è l’Unione Europea) della politica estera italiana, in particolare durante gli anni della Guerra Fredda.

Le vittorie a man bassa delle candidature italiane durante la Sua stagione al Palazzo di Vetro sono da manuale e dimostrano la Sua capacità di comprendere il valore e le regole del multilateralismo – la nuova, importante forma di diplomazia – che ha le sue regole, le sue procedure, le sue liturgie, la sua storia. Dove non si bleffa, dove dopo il terzo intervento già vengono ‘prese le misure’ dell’ oratore e dove è essenziale ma difficile acquisire autorevolezza per difendere ed affermare al meglio gli interessi nazionali.

L’ autorevolezza, il prestigio, nelle plenarie e dans les coulisses, con i colleghi  che ti ascoltano attentamente ed attendono le tue parole, le tue proposte, la tua mediazione: ecco la dote magica che l’Ambasciatore Francesco Paolo Fulci è riuscito a conquistarsi, con sapienza, tenacia, metodo, intelligenza, rispetto e sensibilità.

E per la Sua autorevolezza Lo ringraziamo, Lo ricorderemo sempre e sarà per sempre un Grande Diplomatico Italiano. 


Febbraio 2022